Tra le tanti doti degli abitanti di Bari, quello che forse colpisce di più il visitatore è la capacità dei cittadini del capoluogo pugliese di appropriarsi delle ricchezze culturali (e non solo) di altri popoli. San Nicola è stato preso in prestito permanente da Myra, la città vecchia si vanta delle proprie origini arabe, e il senso civico proviene da un altro pianeta. È nota, inoltre, da decenni, l’esistenza di un gemellaggio culturale tra Bari e Parigi (vedi http://baripaul.blogspot.it/2008/07/bari-lezione-di-cultura-per-i-parigini.html), che ha portato alla diffusione nella testa di molte signore baresi non solo dell’idea che “elles sont Catherine Deneuve” ma anche che possono parcheggiare la macchina dove cavolo vogliono.
Con il terzo millennio, però, è arrivato un nuovo capitolo nel fare proprie le risorse degli altri: il barese ha cominciato ad adocchiare la lingua inglese. Non è un’impresa facile: impossessarsi di una lingua richiede molto più tempo e molta più furbizia della rimozione delle ossa di un santo, anche quando per avere la reliquia in questione bisogna andare a vincere fuori casa in Turchia. E in effetti, i primi approcci del barese alla lingua di Shakespeare non sono stati incoraggianti. Basta pensare alla famosa insegna che accoglieva i turisti all’aeroporto (“Welcome in Bari”) o all’insistenza di chiunque sia nato qui nel chiudere ogni “a” in “e”: “I love the rep!” [non nel senso di “Amo il commesso viaggiatore!" ma come apprezzamento della musica rap]; “He is pest this morning” [“He passed by this morning”]; “I go to met you” [I’m going to speak to Matthew”].
Recentemente, però, le cose hanno cominciato a cambiare. Confesso che quando, qualche settimana fa, un’impiegata alla posta ha pronunciato correttamente il mio cognome al momento di consegnarmi una raccomandata, non mi sono preoccupato più di tanto; ho attribuito l’accaduto al semplice fatto che era raffreddata. Ma poi, durante il weekend di Pasqua, un uso spaventosamente corretto del
Present Perfect Continuous da parte di un controllore che parlava in treno con dei turisti coreani mi ha messo in allarme. E domenica scorsa, passeggiando a Japigia (non chiedere!), ho avuto la conferma incontrovertibile di quello che temevo:
I baresi ormai non solo hanno la padronanza dell’apostrofo ma sanno usare (e sanno usare bene!) i
phrasal verbs. Il giorno è arrivato: non avete più bisogno di me. My work here is done. Me ne vogg.