Tuesday 8 March 2011

Cerbero


“O tu o l'animaletto peloso” disse Denise. In realtà disse “Qu’est-ce que je vais faire de mon petit chat?” Ma sapevo bene cosa intendeva.

Il gatto mi aveva odiato dal primo momento. Il letto di Denise era composto da due reti e due materassi accostati. La bestiola, delle dimensioni di un piccolo puma, era solita fare irruzione dallo spazio centrale come risalendo dalle profondità dell'inferno, per graffiarmi e mordermi. Ovviamente tutta questa ferocia era riservata solo ed esclusivamente a me. Denise, che chiamava la creatura “mon bébé”, “mon amour” o , con una deferenza tutta francese per la propensione dell'animale a invadere il territorio britannico, Guillaume, dormiva tranquilla nonostante le atrocità del suo animale e insisteva ad attribuire le mie ferite alla mia goffaggine. Rimanevo con lei soltanto per la sua eccezionale escalope à la crème e per il suo strabiliante savoir-faire erotico.

DIO NON STA BENE Parte II

Saturday 5 March 2011

I Had a Dream - giocando a Monopoli con il Premier

Ho fatto un sogno strano l’altra notte.
Ero diventato – non si capisce come – primo ministro dell’Italia. Mi trovavo a tavola a giocare a Monopoli con delle vecchie conoscenze e alcuni amici nuovi comprati quella mattina al mercato. Mi stavo annoiando.
“Ragazzi, cambiamo di nuovo le regole,” dissi, scendendo dai cuscini e poi dalla sedia. Prima di arrivare a terra, però, mi imbattei in Mary Star che stava a quattro zampe a grufolare tra i corpi anestetizzati delle sciacquette stese sotto il tavolo.
“Che cerchi, Cessetta, un cervello nuovo? Se mi consenti, direi che non…”
“Ho fatto cadere il cartoncino Probabilità che mi dava diritto a una laurea gratis e un mucchio di soldi, e non riesco a…a…” Si mise a piagnucolare.
Fosse stata giovane e un minimo bella, le avrei regalato dieci lauree e montagne di soldi dalla banca in cambio dei diritti di passaggio nel suo Vicolo Stretto, ma la vita è troppo breve per perdere tempo dietro donne come Mary Star – e qualora avesse veramente un Vicolo da vendere, ci si potrebbe scommettere che sia tutt’altro che Stretto. A dire il vero, non mi ricordavo neanche più perché l’avevo invitata a giocare con noi. Il pianto stava diventando isterico, e così ci avrebbe guastato la serata.
“Non puoi darle un cartoncino tuo per zittirla?” mi chiese Fat Fat Julian, bagnando il tabellone con un misto di grasso di hamburger e sbava. “Mi sta facendo passare l’appetito.”
“Sì, cazzo, metti qualcosa in bocca alla puttana!” gridò Victor. “Porco dio, sto cercando di evadere la Tassa di lusso qui e ‘sta fottuta troia mi distrae.”
Esasperato, guardai tra i cartoncini Imprevisti che avevo in tasca. “Tieni, sgualdrina, ti regalo questa. Ma mi deve fare un favore: ho bisogno che qualcuno mi scenda il cane un attimo. Non riesco a concentrarmi sulle veline quando cerca di leccarmi il culo ogni due secondi.”
Singhiozzando, leggeva ad alta voce dal cartoncino che le avevo porto: “Uscite gratis… di prigione… se ci siete… potete conservare… questo cartoncino… sino al momento… di servirvene… (non si sa… mai!…) oppure venderlo…” Rimase un attimo in silenzio, poi sorrise. “Mi sa che lo vendo. Ho un amico in Reggio Calabria che lo pagherebbe oro.”
“Fai come ti pare,” risposi, “ma adesso porta Fede a spasso per il paese. Non serve la paletta, la gente è abituata a convivere con le sue cagate. Noi abbiamo cose più importanti a cui pensare.”
Riprendemmo a giocare.